Incominciamo il viaggio per riscoprire una società che vide la luce, secondo studi recenti, intorno al 1700 a.C.
Alle origini del Popolo Maya.

Il calendario Maya e di altre popolazioni dell’America centrale quale Aztechi e toltechi, era composto da tre cicli di natura completamente diversa tra loro.

Il primo tra questi, era il Tzolchin di origine religiosa composto da due cicli brevi, uno di tredici, l’ altro da venti. Il primo avanzava seguendo una sequenza numerica, il secondo invece una sequenza di nomi.
La combinazione di questi due formava il numero di 260 giornate.
Il secondo di nome HAAB, più lungo 360 giorni, era un calendario civile e si basava sulle stagioni.
Era composto da 18 mesi da venti giorni ciascuno (contati da 0 a 19) più altre cinque giornate ritenute, “particolarmente sfortunate”. Infine il “lungo computo” che indicava il numero dei giorni dall’inizio dell’era Maya.
E proprio da quest’ultimo ciclo, il lungo computo, deriva una credenza tutta moderna dell’imminente fine del mondo nell’anno 2012, previsione tra l’ altro considerata sbagliata dai moderni studiosi, ma che comunque tutt’oggi affascina la cultura popolare.

Il calendario Maya risale alla più antica ma affascinante tra le culture, ossia quella della semina e raccolta del cacao, la pianta più apprezzata e famosa presso queste antiche e misteriose popolazioni.
Il cacao, parola di origine Maya o Azteca appunto, aveva infatti un’origine divina.

I semi di cacao erano molto apprezzati e avevano un valore che oggi potremmo definire anche superiore all’oro.
Coltivati, raccolti e essiccati, erano la merce di scambio più richiesta tra le popolazioni e veniva usata anche come moneta circolante. Sembra addirittura che i re Aztechi, Quali Cortez il conquistatore, abbia dovuto pagare il suo esercito proprio con semi di cacao.
Dai chicchi di questa pianta molto pregiata e ritenuta “dono degli dei” si ricavava una bevanda che, come hanno testimoniato secoli dopo i colonizzatori, faceva bene al “raffreddore e allo stomaco”.
Questa era molto apprezzata dagli indigeni, anche se le popolazioni europee a partire da Cristoforo Colombo, non ne apprezzavano tanto la bontà, tanto da descriverla quasi “disgustosa soprattutto la schiuma, la parte più amata”, ma ne apprezzeranno la laboriosa lavorazione nonchè la devozione nell’offrirla agli ospiti ritenuti “illustri”.

La cioccolata, calda o fredda servita in tazza travasata da una particolare brocca che serviva per crearne la densa schiuma di cui andavano golose le popolazioni dell’America centrale, era composta da semi di cacao lavorati e macinati, mescolati con acqua o spezie. Non era certo la golosa miscela cui siamo abituati noi oggi, introdotta in Europa soltanto secoli dopo. [continua]

fonte: www.alcioccolato.com

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